venerdì 26 febbraio 2010

Fuskin





Ci avete mai fatto caso? Secondo me sono la stessa persona, ambedue passeri ovviamente, con Puskin leggermente in vantaggio, come dire. Ci siamo interrogate a lungo su chi avesse copiato chi, poi, dopo accurate ricerche (su wikipedia), ho scoperto che Ugo è arrivato prima. Vicino alla sala di lettura della mia facoltà c’è un suo ritratto, e gli butto un bacio tutte le volte che lo vedo, come portafortuna.

giovedì 25 febbraio 2010

Il mio utero è Dior


Anni e anni di dure lotte e conquiste per la parità dei diritti, pillole, elettrodomestici, pratici assorbenti interni , rutti in libertà, reggiseni bruciati e che si trova uno quando entra in un’università russa? Un enorme salone di bellezza. Superato il checkpoint dove ti fanno quasi il body scanner e devi mostrare mille lasciapassare, ti ritrovi in un androne dove ci sono delle colonne ricoperte di specchi, dove sono riunite queste ragazze bellissime, vestite come se dovessero andare a ballare, che si sistemano i capelli, si guardano come cade il vestito, si truccano. Una poverina come me, che per andare all’Unibo si mette un maglione largo, un paio di pantaloni e non si lava i capelli perché ha dormito troppo, come si può sentire? Un cesso. Ma dopo la prima settimana ci si fa l’abitudine, e se i primi giorni mi mettevo addirittura il fondotinta, oggi penso che ci andrò vestita uguale per la terza volta di fila (quindi anche leggermente puzzolente).
Ho qualche lezione che non sia solo con i deficienti che non sanno russo, e così posso, tra un sonnellino e un disegnino sul quaderno, osservare come si comportano queste creature fatate. Alcune, le secchione, si mettono in prima fila e intervengono sempre. Sono strafiche, dei fuscelli senza culo e con lineamenti regolarissimi. Le ciuche stanno in fondo o a metà e chiacchierano a manetta, o si truccano, oppure ne ho beccata una che ha dormito per tutta la lezione, giuro, tutta. Poi ci sono le cesse. Perché una in Russia, o è strafiga, o è un cesso, non ci sono mezze misure. Le cesse hanno tutte la faccia depressa, e vi lascio indovinare perché. Ho visto pure una o due obese. Di uomini ce n’è una leggerissima percentuale, quasi irrilevante. Ieri a mensa ce n’era un gruppo di tre di cui due avevano i pantaloni infilati dentro gli stivali, e uno aveva la maglietta di Pippo, con la scollatura. Ma ho anche visto un rasta e pare che ci siano diversi skinhead, indifferentemente uomini e donne.
Io non so. Speravo di diventare un chiodo come loro, ma nonostante la cucina russa faccia cagare, sto mangiando un sacco di pane e formaggio perché mi fa fatica cucinare. Non abbiamo la lavatrice in casa e così devo lavarmi le cose a mano, e non posso accumulare tanta roba, quindi vado in giro coi vestiti spiegazzati e puzzolenti. Tanto emarginate sociali lo siamo già, per il fatto che non capiamo una sega. E perché ai loro occhi sembreremo nane e grasse. Però ieri in mensa cercavo una forchetta e un ragazzo russo è entrato in cucina e me ne ha presa una! Sono già innamorata. Qua ci si stupisce quando uno è gentile, non quando ti trattano male. Una cassiera, uno dei primi giorni che eravamo qua, ha borbottato: “Vengono qui e non sanno neanche il russo”. Manca solo che dicano che rubiamo loro il lavoro!

mercoledì 24 febbraio 2010

Il Grande Nulla.


La prima cosa piacevole che ho visto in Russia sono state le betulle. Dall’aeroporto Domodedovo (che si legge Domodiedova!) c’è un’oretta di macchina prima di arrivare a Mosca. Per cercare di non parlare con le tipe che ci erano venute a prendere mi sono messa a guardare fuori dal finestrino: ho cominciato a leggere i cartelli e osservare gli scassoni con cui girano i russi per la strada. Questo tratto è circondato da un bosco di questi alberi intirizziti che mi sono subito piaciuti, e si vedono anche dalla finestra della nostra cucina. Penso che se non ci fosse la neve la zona dove abitiamo sarebbe inguardabile perché si tratta di una strada lunghissima, con un’università, diversi palazzoni che sono studentati, diversi palazzoni che sono studentati, diversi palazzoni che non so che diavolo siano. I primi negozi cominciano a un chilometro da dove siamo noi, menomale che nelle vicinanze ci sono dei “produkti” che vendono alimentari e roba per la casa.
In casa siamo sette ragazze, in un appartamento prima abitato da batteri che prolificavano nel sudicio. Il soffitto del bagno sta venendo giù e quando mi faccio la doccia mi viene la forfora all’intonaco. La cucina fortunatamente è grande, e ci è andata di culo che noi quattro italiane abbiamo la camera col balcone, così possiamo fumare senza che parta l’allarme antincendio (cercando di non farci vedere dai poliziotti che senno’ ci fucilano)! Tra l'altro ho già preso un fungo sulla pancia. Ewwai! Passare da una singola a una quadrupla non è stato così scioccante come credevo… i letti sono messi agli angoli della camera, così ognuna ha il suo jil ploschad, poi quando cominceremo a fissare un punto nel vuoto e a diventare gelose del nostro spazio vitale sarà da ridere. Le altre ragazze sono zeeeero bolgia, ma menomale che ci siamo noi. Abbiamo fatto qualche festino, ma dobbiamo espandere i nostri orizzonti al di là dello studentato… direi che è ora.